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Is Animeddas - da Samhain ad Halloween

  • Immagine del redattore: Elevenios
    Elevenios
  • 31 ott
  • Tempo di lettura: 5 min
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Halloween, oggi conosciuto come festa di travestimenti e zucche illuminate, ha origini molto più antiche e spirituali.

Nasce dal Samhain celtico, il capodanno del popolo druidico, celebrato nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, quando si credeva che il velo tra il mondo dei vivi e dei morti si assottigliasse.

Con la cristianizzazione, questa ricorrenza si fuse con la festa di Ognissanti (All Hallows’ Eve), da cui deriva il nome Halloween.

Negli Stati Uniti, la tradizione si trasformò in una celebrazione popolare, perdendo gran parte del suo significato spirituale per assumere toni più folclorici e commerciali: costumi, dolcetti, zucche e decorazioni.

Nonostante ciò, nel suo simbolismo più profondo Halloween continua a rappresentare il momento del passaggio, la riflessione sul ciclo vita–morte–rinascita e la necessità di riconciliarsi con le proprie ombre interiori.

È, in fondo, l’erede moderno di un rito antichissimo di memoria, purificazione e rinnovamento.


Samhain – Il Capodanno degli Antichi

Samhain (pronuncia: sàuin o sòuen) è una parola gaelica che significa fine dell’estate. Era la più importante delle quattro grandi festività celtiche, assieme a Imbolc, Beltane e Lughnasadh, e segnava la fine dell’anno agricolo e l’inizio della stagione oscura, a cavallo tra il 31 ottobre e il 1° novembre.

Per i Celti, Samhain era un tempo fuori dal tempo: la notte in cui il velo tra i mondi si assottiglia, permettendo ai vivi e ai morti di comunicare, il fuoco, simbolo del sole morente, veniva spento in ogni villaggio e poi riacceso dai Druidi, per rappresentare la rinascita della Luce nel grembo dell’Oscurità.

Si onoravano gli antenati, si deponevano offerte di cibo sui davanzali, e si accendevano torce o lanterne per guidare le anime nel ritorno verso la luce.

Samhain rappresentava quindi la morte come passaggio, non come fine: il momento in cui la vita ritorna al suo principio invisibile per rigenerarsi.

In termini esoterici, è il momento alchemico della Nigredo: la dissoluzione, la notte dell’anima, il silenzio fertile che prepara la rinascita della coscienza.


✝️ Dalla festa dei morti a Ognissanti e Commemorazione dei Defunti

Con l’espansione del cristianesimo in Europa, il significato di Samhain non fu cancellato, ma trasformato.

Nel IX secolo, la Chiesa istituì il 1° novembre come festa di Tutti i Santi (Ognissanti) e il 2 novembre come Commemorazione dei Defunti, su iniziativa dell’abate benedettino Odilone di Cluny.

Fu una scelta strategica: sovrapporre il culto dei santi e dei morti alle celebrazioni pagane, per convertirne gradualmente il simbolismo.

Così, il fuoco druidico divenne il cero cristiano, le offerte agli spiriti si trasformarono in preghiere per le anime del Purgatorio, e le processioni con le lanterne divennero pellegrinaggi e veglie cimiteriali.

L’essenza, però, restò intatta: l’idea che la notte tra ottobre e novembre fosse un momento in cui i mondi si sfiorano, e che i vivi possano inviare luce a chi abita il piano sottile.

Anche molte religioni moderne, come il neopaganesimo, la Wicca e le tradizioni rosacrociane o teosofiche, riconoscono in Samhain il punto di svolta del ciclo vitale, il “momento della soglia” in cui si onora la trasformazione, la memoria e il potere del rinnovamento spirituale.


Is Animeddas – La festa dei morti in Sardegna

In Sardegna, l’antica festa dei morti mantiene ancora oggi i tratti più puri del suo significato originario.

Conosciuta come Is Animeddas, Su Mortu Mortu, Is Panixeddas o Su Prugadoriu, a seconda delle zone (Sulcis, Campidano, Logudoro o Barbagia), essa rappresenta la sopravvivenza diretta di Samhain nel contesto mediterraneo. Le famiglie preparano tavole con pane, vino, acqua e lumi per le anime in visita, oppure lasciano la porta socchiusa perché gli spiriti possano entrare a riscaldarsi e nutrirsi.

La dimensione comunitaria è fortissima: si uniscono ricordo, devozione e condivisione, in un gesto che fonde il cristianesimo popolare con l’antico culto degli antenati.

Nell’Isola, questa notte non è macabra, ma dolce e affettuosa: il legame con i defunti è continuo e domestico, non separato, si dice che “su mortu mortu” entri silenzioso nelle case, e che ogni candela accesa sia una piccola finestra verso l’Aldilà.

Durante questa notte in passato, una tradizione ormai persa o quasi, i bambini, veri “messaggeri tra i mondi”, percorrevano le strade recitando canti rituali o preghiere per le anime, ricevendo in cambio dolci, frutta secca o pane, proprio come i giovani celti che chiedevano offerte per i defunti.


Ogni anno, quando ottobre muore e il vento si fa più freddo, la Terra tace.

Nel silenzio delle sue ombre sento ancora l’eco di canti antichi, di passi leggeri di bambini che chiedevano “mi das fait is animeddas?”, portando nelle case un sorriso e una preghiera per le anime dei defunti.

Era una notte di dolcezza e di rispetto, in cui i vivi e i morti si riconoscevano nel medesimo cerchio della vita.

Oggi, però, quella luce si affievolisce, la festa antica di Is Animeddas, conosciuta anche come Su Mortu Mortu, Is Panixeddas, Su Prugadoriu, sopravvive in poche zone della Sardegna, quasi come un sussurro del passato, al suo posto si diffonde sempre più l’immagine scintillante e artificiale di Halloween, che, pur derivando in origine dallo stesso Samhain, è divenuta ombra di se stessa: una celebrazione commerciale svuotata del suo spirito.

Dove un tempo si accendevano candele per guidare le anime, oggi si accendono zucche luminose senza più consapevolezza del loro significato.

Dove si offriva pane e vino ai defunti, ora si distribuiscono caramelle e plastica colorata.

Non vi è giudizio, ma malinconia: perché dietro l’apparenza del divertimento moderno, si è smarrito il senso sacro del ricordo.

Is Animeddas non era una mascherata, era un rito di amore e continuità, un momento in cui il popolo sardo guardava l’invisibile con rispetto e familiarità.

Nel suo spirito più profondo, questa festa rappresentava la connessione tra il visibile e l’invisibile, tra l’uomo e i suoi avi, tra la materia e lo spirito.

Ogni lume acceso nelle case era una piccola preghiera, ogni tavola imbandita un gesto di riconoscenza verso chi ci aveva preceduti.

Era, in fondo, una forma di alchimia comunitaria: il dolore della separazione si trasmutava in calore, in memoria viva, in gratitudine.

Oggi, vedendo la tradizione dissolversi tra zucche e maschere, mi chiedo se non sia compito nostro, di chi ancora ricorda, riaccendere quel fuoco antico, non per rifiutare il nuovo, ma per restituire al gesto la sua anima, perché ogni festa, senza consapevolezza, è solo un rumore nel tempo; ma con coscienza diventa rito, e il rito mantiene il mondo in equilibrio.

Mi auguro che Is Animeddas non resti solo un ricordo folklorico, ma che torni ad essere un atto di memoria viva, una notte in cui la Sardegna e l’Umanità intera, possa ritrovare il contatto con le proprie radici spirituali.

Perché ogni candela che si spegne per dimenticanza, lascia un’ombra più lunga nel cuore dell’uomo, e ogni candela che si riaccende, anche solo in un villaggio, è una promessa di Luce che non muore mai.

A∴G∴D∴G∴A∴D∴U∴

T∴F∴A∴

Fr∴ Elevenios



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