Il Viaggio di Giasone
- Elevenios

- 10 ott
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Molto tempo fa, nella Grecia antica, il regno di Iolco, in Tessaglia, fu usurpato da un uomo ambizioso e crudele: Pelìa, fratellastro del legittimo re Eson.
Per timore che il trono fosse reclamato dal figlio di Eson, Pelia ordinò che il piccolo Giasone venisse ucciso, ma la madre, disperata, lo nascose e lo affidò al centauro Chirone, che lo crebbe sul monte Pelio, insegnandogli l’arte della guerra, della medicina e della saggezza.
Anni dopo, ormai uomo, Giasone decise di reclamare ciò che gli spettava di diritto.
Si presentò a Iolco e al cospetto di Pelia, che, temendo una profezia secondo cui sarebbe stato distrutto da un uomo con un solo sandalo, lo accolse con sospetto: Giasone, infatti, aveva perso un sandalo attraversando un fiume per aiutare una vecchia donna — che in realtà era la dea Era sotto mentite spoglie.
Pelia, fingendo di accettare la sua richiesta, lo mise alla prova: “Se vuoi il trono, Giasone, porta qui il Vello d’Oro — custodito nella lontana Colchide, oltre il mare, appeso a una quercia sacra e sorvegliato da un drago che non dorme mai.”
Così iniziò uno dei viaggi più straordinari della mitologia.
Per affrontare l’impresa, Giasone fece costruire una nave possente, la Argo, con l’aiuto della dea Atena.
Nel suo albero maestro fu incastonato un pezzo di quercia parlante proveniente dal sacro bosco di Dodona, capace di dare consigli divini.
Con lui si unirono i più grandi eroi della Grecia: Eracle, Orfeo, Castore e Polluce, Atalanta, Teseo, Peleo, Meleagro, Linceo e molti altri — un gruppo di eroi che prese il nome di Argonauti, “i naviganti dell’Argo”.
Salparono da Iolco sotto il favore degli dèi, e il mare divenne il teatro delle loro prove.
Il cammino di Giasone e dei suoi compagni fu costellato di pericoli e misteri, sbarcarono prima sull’isola di Lemno, dove le donne, avendo ucciso i loro uomini, vivevano in solitudine.
Poi affrontarono le mostruose Arpie, che tormentavano il re Fineo, e liberarono il vecchio profeta, che in cambio indicò loro come superare le Simplegadi, le rocce mobili che si chiudevano con forza distruttiva su chi tentava di passare.
Giasone, seguendo il consiglio di Fineo, lasciò volare una colomba tra le due rocce: la colomba riuscì a passare, perdendo solo la punta della coda.
Così gli Argonauti attraversarono il passaggio, e da quel giorno le Simplegadi rimasero immobili per sempre.
Giunti nella Colchide, Giasone si presentò al re Eeta, chiedendo il Vello d’Oro.
Eeta, però, pose condizioni impossibili: “Dovrai domare due tori dalle zampe di bronzo che sputano fuoco, arare un campo con essi, e seminare i denti del drago. Da quei semi nasceranno guerrieri armati, che dovrai sconfiggere.”
Giasone era perduto, se non fosse stato per l’intervento della principessa Medea, figlia di Eeta e potente maga, che si innamorò di lui grazie all’influsso della dea Era.
Ella gli offrì un unguento magico che lo avrebbe reso invulnerabile al fuoco e al ferro, e gli insegnò come affrontare i guerrieri nati dai denti del drago: “Lanciali una pietra nel mezzo, si combatteranno tra loro fino alla morte.”
Giasone riuscì nell’impresa e, con l’aiuto di Medea, fece addormentare il drago che custodiva il Vello.
Afferrò il manto d’oro, simbolo della regalità e della conoscenza divina, e fuggì con Medea a bordo dell’Argo.
Il ritorno fu lungo e tormentato, gli Argonauti attraversarono terre sconosciute, si scontrarono con il gigante Talos, il guardiano di bronzo di Creta, che Medea riuscì a sconfiggere aprendo la vena che gli dava vita.
Rientrato a Iolco, Giasone mostrò il Vello d’Oro, ma la profezia si compì: Pelia fu ucciso da Medea con l’inganno, e gli dèi punirono entrambi per aver superato i limiti del destino.
Giasone, ormai solo, visse gli ultimi anni come un uomo dimenticato, seduto ai piedi della nave Argo, ormai marcita.
Un giorno, il crollo del legno sacro dell’albero maestro lo travolse e lo uccise, come a chiudere il cerchio della sua esistenza.
Aveva conquistato il Vello, ma aveva perduto sé stesso.
Il mito di Giasone non è soltanto un racconto di eroi: è un cammino iniziatico.
Il mare rappresenta l’inconscio e il viaggio interiore.
La nave Argo è il corpo spirituale dell’uomo, la barca che lo conduce verso la conoscenza.
Gli Argonauti sono le forze interiori, le virtù e le debolezze che accompagnano l’anima lungo il cammino.
Il Vello d’Oro è la luce divina, la saggezza, l’immortalità dell’anima ritrovata dopo le prove.
Medea, nella sua duplice natura di salvezza e distruzione, rappresenta la potenza della conoscenza occulta: una forza che, se non guidata con purezza, può redimere o perdere.
Ho sempre guardato con fascino il mito di Giasone e degli Argonauti, perché più di ogni altro racchiude l’essenza stessa del cammino iniziatico.
Dietro le navi, i venti e gli dèi, si cela la storia eterna di ogni Uomo che decide di intraprendere il viaggio verso la propria verità, consapevole che la meta non è un luogo, ma una trasformazione.
Quando Giasone salpa verso la Colchide per conquistare il Vello d’Oro, egli non è ancora un eroe: è un uomo che accetta la sfida dell’ignoto.
Quel Vello, che molti leggono come semplice simbolo di potere, io lo percepisco come l’immagine dell’anima illuminata, il riflesso dorato della perfezione interiore.
È la Luce che si nasconde dietro le apparenze della materia, l’oro filosofico degli alchimisti, la conoscenza che attende chi ha il coraggio di partire.
Il viaggio di Giasone è pieno di ostacoli, di tradimenti, di prove che mettono a nudo la sua umanità.
In questo mi ci ritrovo...
Ogni Fratello, ogni Iniziato, ogni Uomo che cerca, sa cosa significa affrontare tempeste interiori, sirene che distraggono, scogli che feriscono, e compagni che a volte si perdono lungo la rotta, la nave Argo non naviga solo sul mare, naviga dentro di noi, tra le correnti del dubbio e le acque profonde della coscienza.
Ho imparato, Fratelli, che la ricerca del Vello d’Oro non è la conquista di un tesoro, ma la scoperta del proprio valore, o per lo meno così penso che sia.
Ogni colpo di remo, ogni fatica, ogni ferita diventa parte dell’Opera.
E quando l’uomo affronta la sua ombra, quando guarda il drago che custodisce la sua Luce, capisce che quel drago non è altro che sé stesso, la parte che teme di cambiare, la voce che dice “resta dove sei”.
Come Giasone, anche noi siamo chiamati a scendere nella caverna dell’anima per guardare noi stessi dal proprio interno, guardare negli occhi il guardiano del tesoro e a conquistare, non con la forza, ma con la consapevolezza.
Perché il vero eroe non è colui che vince il mostro, ma colui che lo riconosce come parte di sé e ne fa strumento di crescita.
Quando penso a Giasone, penso a ogni mio momento di dubbio, di caduta, di ripartenza, penso ai giorni in cui il mare era calmo e ho creduto di aver trovato la via, e ai giorni in cui la tempesta mi ha ricordato quanto fragile è la mia certezza e capisco che ogni esperienza, ogni dolore, ogni errore è un porto necessario lungo il viaggio verso la Luce.
Il Vello d’Oro, allora, non è un premio che si conquista, ma una verità che si diventa.
È il momento in cui la nave torna al porto, e Giasone non è più lo stesso uomo che era partito.
È la consapevolezza che il viaggio era il vero tesoro, che la Luce non era in Colchide, ma in lui.
Riconosco in Giasone il simbolo dell’Iniziato: colui che osa, che cerca, che soffre, ma che non rinuncia mai e in quel “non rinunciare” c’è la vera nobiltà dell’anima, il coraggio di continuare a remare anche quando la nebbia nasconde la direzione.
Il nostro cammino è lo stesso, partiamo ogni giorno da un porto diverso, ma la destinazione è una sola... la Luce.
E se l’Ombra ci accompagna, è solo perché la Luce la crea.
Perché senza la notte non riconosceremmo mai l’alba, e senza l’alba non comprenderemmo il valore della notte.
Oggi porto dentro di me il mito di Giasone come memoria viva del mio viaggio e so che il mio Vello d’Oro non brilla in un tempio lontano, ma nel silenzio del mio cuore, quando, dopo aver affrontato la tempesta, posso finalmente dire: “Ho trovato la mia Luce.”
A∴G∴D∴G∴A∴D∴U∴
T∴F∴A∴
Fr∴ Elevenios




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